IL SARTÙ

Da espediente per accontentare i palati dei nobili napoletani a piatto testimone di tradizioni che allieta il gusto di chiunque.

Anche le origini del sartù di riso, come diversi piatti della tradizione partenopea, risalgono al periodo del regno di Ferdinando I di Borbone, re delle Due Sicilie.

Ferdinando I, per volontà della sua consorte Maria Carolina d’Austria, che non amava particolarmente la succulenta cucina partenopea, chiamò a corte i più raffinati cuochi francesi: i “Monsieur”, termine napoletanizzato in un familiare Monsù, i quali portarono un bagaglio di mescolanze e nuove alchimie di sapori. Dal connubio tra estro francese e cultura culinaria napoletana sono nati capolavori della cucina partenopea: gattò, babà, crocchè, timballi e sartù, arricchendo le preparazioni a base di riso per renderle gradevoli all’esigente palato della regina.

Il riso era arrivato per la prima volta nella città partenopea alla fine del XIV secolo dalla Spagna, nelle stive delle navi degli Aragonesi, ma non aveva avuto molto successo. Seppur nutriente e saziante, i Napoletani non ebbero mai lo stesso feeling che invece sperimentarono per la pasta.

A corte, lo definivano “sciacquapanza” per il suo debole sapore, i medici lo prescrivevano per curare le malattie intestinali e gastriche; l’associazione tra rimedio e malattia non  aveva di certo favorito l’approccio verso il riso.

I Monsù, per renderlo più appetitoso, aggiunsero salsa di pomodoro, piselli, uova sode, fior di latte, polpettine e salsicce: tutti ingredienti sistemati all’interno di un timballo di riso ricoperto da un mantello di pangrattato, che diventava un croccante involucro in una presentazione trionfale e scenografica da mangiare con gli occhi, un surtout.

Da surtout, sopra a tutto, camuffamento che indicava lo speciale mantello di pangrattato, a sartù …fu un attimo, et voilà!

Questi ingredienti, ricchi e saporiti, mascheravano il sapore del riso. Il piatto fu molto gradito dal re Ferdinando I, dai nobili e dai poveri, divenendo ben presto uno dei piatti più amati del Regno delle due Sicilie.

Oggi del sartù esistono due versioni: una bianca e una rossa e gli ingredienti interni possono variare a seconda dei gusti. Personalmente preferisco la versione rossa, piena di gustoso ragù napoletano.

Eduardo De Filippo: “Nu sartù turzuto e àveto, ova toste e purpettine, cu ‘e pesielle e chin’ ‘e provola, parmigiano e fegatine, rrobb’ ‘e Napule, gnorsì. Si cucine cumme vogli’i’”.

Rachele Bernardo

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